Perdere una persona cara è qualcosa di molto difficile per tutti. Come possiamo elaborare più facilmente un lutto e riprendere a vivere? Ne parliamo con Annarita Verardo Psicoterapeuta e Trainer dell’Associazione EMDR.
Dottoressa Verardo, quali possono essere le conseguenze di un lutto non elaborato?
Innanzitutto diciamo che tutti siamo naturalmente capaci di elaborare i lutti e arrivare quindi all’accettazione della perdita dopo un periodo di dolore, stress, nostalgia e di malinconia. A volte però questo processo si blocca perché, per esempio, la relazione con la persona perduta è stata difficile o molto intensa o a causa di morti violente. In questi casi è bene rispettare i tempi soggettivi, cioè darsi il tempo di soffrire. Eccessiva tristezza, dolore e pianto sono normali e non bisogna reprimerli. Bisogna cercare poi di riprendere i ritmi quotidiani e soprattutto parlare con le persone vicine.
Nel suo ultimo libro “E quando avrò paura…Io ci sarò per te” (Giovanni Fioriti Editore) si affronta un tema difficile: la situazione dei bambini che vissuto l’esperienza del suicidio di un familiare
Quando un suicidio entra a far parte del mondo dei bambini spesso l’elemento preponderante è la vergogna. Se gli adulti normalmente fanno fatica a parlare della morte ai bambini, questo accade maggiormente dopo un suicidio. E proprio questo silenzio diventa un fattore di rischio perché il “non narrato” e il “non narrabile” diventa anche “non elaborabile”. Dare quindi la possibilità ai bambini di fare domande, esprimere dubbi è fondamentale nel processo di elaborazione.
In che modo la psicoterapia EMDR può diventare un utile strumento nell’elaborazione di questo tipo di lutti?
L’EMDR è una terapia molto valida per il lutto perché risincronizza la parte emotiva e con quella cognitiva. Elaborare una perdita non vuol dire perdere i ricordi belli della persona cara ma accettare il lutto. Viceversa rimanere bloccati in emozioni come colpa, rabbia e vergogna può generare traumi non solo nelle persone che vivono la dimensione nel lutto ma anche nei loro figli e nei figli dei loro figli producendo quella che viene chiamata “disorganizzazione dell’attaccamento” e quindi paura per diverse generazioni.
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Ciao e Buona Vita!
dr. Roberto Ausilio
Psicoterapeuta