ascolto 54 305Terza parte dell’intervista a Roberto Ausilio su terapia Psico-corporea.
R => All’epoca di Reich non si dava ancora grande importanza al controtransfert. In p.c. il controtranfert è ascolto “somatico” delle sensazioni interne del terapeuta. Come strumento per comprendere la psicologia caratteriale del paziente o anche per leggere un momento particolare dell’interazione bi-personale, nel corso della seduta. Secondo te il terapeuta si ascolta e si mette in gioco “nel corpo” includendo nel processo terapeutico le sue caratteristiche personali, anche quelle non integrate?
I => Eh se non ha voglia … va a finire che si fa del male (risata). Cioè nel senso che non è un optional, è una cosa che, diciamo … sostiene tutto il processo terapeutico. Purtroppo, diciamo, ogni lavoro c’ha i suoi rischi e il rischio nostro è quello di esaurirci, cioè di esaurire le energie, le risorse psicofisiche e di bruciarci ed è più facile bruciarsi se uno va un po’ in automatico credo. Magari lì per lì è più faticoso, no? Perché devono andare in supervisione e … , però è anche una palestra di onestà con se stessi perché …, diciamo … io credo che la bellezza, almeno per me,  di questo lavoro è che, nel momento in cui cerco, tra virgolette, di aiutare qualcun altro, in realtà sono perfettamente consapevole che attraverso di lui sto capendo delle cose mie. Quindi, diciamo, può sembrare una cosa un po’ egoistica, oppure, diciamo, e … una, una specie di masturbazione psicologica, però in realtà, e … più esco da me stesso e meno aiuto l’altro.
R => Sì
I => E invece, più sono dentro me stesso e più posso in qualche modo rispecchiare, in maniera un po’ più limpida, quello che l’altro mi sta portando. Se il mio livello di aspettativa, il mio livello egoico, come terapeuta è elevato … è molto elevato e… lì … è facile che vado a fare dei danni. Per esempio in molti casi è utile ammettere la propria impotenza e quindi rispettare la sincerità gli dico “Senti, ho proprio la sensazione che qui stiamo perdendo tempo”  Tatatan … (ride) e allora almeno lì ci si può fare qualcosa, se ne può parlare, quello ti può dire “No secondo me non è vero”,  “si secondo me è vero” e quindi, eccetera, eccetera, ma altrimenti rimane tutto un qualcosa di, di finto, di finto. Forse la psicoterapia è uno dei contesti in cui, pochi contesti in cui oggi ci può essere qualcosa di vero o almeno secondo me ci dovrebbe essere qualcosa di vero.
R => Quindi il controtransfert da valore a uno dei requisiti fondamentali della psicoterapia che è l’autenticità.
I => Sì, assolutamente sì
R =>Assolutamente sì.
R => Per Reich e per Lowen vi sono persone che raramente sono in grado di protestare o di arrabbiarsi per qualcosa. Sovente sorridenti e gentili, chiedono poco, lavorano molto, salvo poi lamentarsi per la mancanza di piacere o di attenzione nei loro confronti. Da adulti sono ancora molto legati ai propri genitori. Infine, fisicamente sono descritti come grossi, tarchiati, pesanti. Il masochismo caratteriale era approcciato da Reich e anche da Lowen con particolari tecniche. A te un corpo con sensazioni energetiche “masochiste” che effetto fa, come ci lavori?
I => (Risata) mi fa incazzare, come una bestia (ridono entrambi animosamente).. Non li sopporto e glielo dico (ridendo) Sì, sì, cioè, glielo dico, magari … cioè non è che glielo dico in maniera brutale, però … però a volte anche sì. Cioè dipende perché … e … il problema poi è che … la realtà comunque, volente o nolente … almeno all’inizio fa un po’ male e quindi nel momento in cui sento che la persona può, tra virgolette, reggere, però la porto a comprendere che questa sua modalità e … oltre ad essere molto pallosa, mi fa anche arrabbiare, cioè mi dà fastidio, mi crea una .. un senso proprio di fastidio e … di fastidio e di voglia di aggredirle, diciamo, che poi, non in senso fisico, ma anche a livello verba (parola interrotta) a volte anche in senso fisico, è chiaro che non lo faccio, però, esprimendogli appunto questo mio controtransfert, gli chiedo (piccola pausa) se, e gli domando, e glielo domando a loro, se è solo quello che provo io oppure magari probabilmente anche altre persone possono provare la stessa cosa eh, perché è chiaro che quel masochismo è una forma di aggressività indiretta e quindi diciamo “Che senso ha per te quell’aggressività? Come potresti esprimerla in maniera più diretta? Quali sono le cose che ti fanno arrabbiare? Quando ti comporti in maniera aggressiva, che tipo di sensi di colpa hai? Come ti senti?” Eccetera, eccetera.
R => Straordinario, si apre una strada … (viene interrotto)
I => Se io non glielo dico che mi fa incazzare (risata) e anzi dico “Ok, sì hai ragione, poverino, quanto mi dispiace, di qua e di là” Eccetera, eccetera. Poi come si girano sbuffo e dico “Ma che palle” e faccio quello che fanno tutte le atre persone intorno a loro, ma a quel punto non sarei terapeutico. Non so come dire.
R => L’hai detto, l’hai detto.
I => Sì
R => Ti ringrazio Roberto, anche qui sei stato molto preciso, tagliente. Vedo che … almeno da quello che emerge, correggimi se sbaglio, che il controtransfert comunque è un elemento … è un elemento importante nei tuoi setting, l’impiego dell’ascolto quanto l’impiego del controtransfert
I => assolutamente sì. Credo che sia uno degli strumenti…  forse, forse è uno degli strumenti sicuramente più importanti perché poi, insomma, diciamo, somministrare un test siamo capaci tutti dopo un piccolo training. A … fare … diciamo un colloquio con un po’ di ascolto empatico non ci vuole tantissimo, però riuscire a stare veramente con le sensazioni e a utilizzarle nel setting.. quello secondo me, non si finisce mai di imparare.
R => Non si finisce mai di imparare, sì è un’altra cosa.
R => Il contatto fisico è un elemento centrale nella terapia corporea, eppure per molti altri orientamenti esso non è ammissibile, oppure estraneo al metodo. I terapeuti reichiani o bioenergetici vengono preparati a tale pratica, nel rispetto del confine terapeutico. Ma i pazienti sanno stare in questa modalità, come reagiscono, non si rischia che diventino a loro volta “corporei” con il terapeuta?
I => E … in che senso corporei con il terapeuta? Cosa intendi?
R => Troppo prossimi, che si prendono delle licenze, che non comprendano equivocano anche o si spaventano
I => Io credo che il 99% della responsabilità ce l’ha il terapeuta. E’ questa la difficoltà, cioè nel senso che e …  lo stesso tipo di contatto, diciamo, apparentemente lo stesso tipo di contatto fisico può avere mille sfumature diverse a seconda di come uno lo dà e di chi lo percepisce. Però, appunto, soprattutto in questo rientra la preparazione nella conoscenza di sé che è il terapeuta e il controtransfert e riuscirlo a diciamo, a portare, a dire. E’ chiaro che il lavoro sui confini è fondamentale ed è  importantissimo a maggior ragione, … è chiaro che ci sono le regole del setting per questo che ci vengono incontro. Per esempio, e … se la seduta dura 50 minuti, può durare un’ora, ma non può durare un’ora e mezza. E questo è già importante e … così come è chiaro che all’interno della seduta ci può essere un contatto fisico con un paziente, ma non è che poi lo invito a venire a cena con me e se lui mi invita io lo ringrazio, ma gli dico che in questo momento non è possibile perché stiamo facendo un lavoro che è di tipo terapeutico e che quindi non si può fare. Quindi, diciamo, un contatto più intimo non significa necessariamente perdita di confini, però questa è responsabilità del terapeuta e in questo aiutare la persona a capire che ci può essere un contatto e che però c’è un limite, c’è un confine che è rinegoziabile, non è rigido, non è neanche, diciamo, stabilito a priori. Mah, io so di terapeuti che evitano di andare a prendere il gelato in un bar perché lì potrebbero incontrare il paziente. Per me questa è una cosa … un’assurdità bella e buona perché io sono un essere umano ed è chiaro che all’interno del setting terapeutico, lavoro come terapeuta, ma non è che sono un dio in terra e quindi anch’io posso mangiare un gelato e mi puoi vedere in giro, per strada con un gelato in mano. Non succede niente da un punto di vista terapeutico.
R => Semmai se quel gelato gli da qualche … gli da qualche sensazione lo vedremo nella prossima seduta, me lo portera (voce sovrapposta)
I => Esattamente, esattame.. (interrompe la parola). Cioè, ci vuole un discorso molto importante sui confini e sui contesti. E … io credo che le terapie che evitano di coinvolgersi o che si mettono dietro al paziente o che assolutame (parola interrotta) neanche si da una stretta di mano, ecce (parola interrotta) nasco (parola interrotta) e quella è una difesa che nasconde una enorme paura di rimanere poi coinvolti. E’ un po’ il discorso … che a maggiore repressione corrisponde a maggiore perversione. E’ chiaro che nel momento in cui io evito persino di dare la mano al paziente, questo si comincia a fare, e io stesso tutta nà serie di … di film e … sul contatto che potrebbero, diciamo … esulare completamente dalla terapia. Va beh, in questo senso la psicoanalisi poi li utilizza come materiale terapeutico. Ma io credo che, diciamo, di materiale ce ne’ talmente tanto che non ci sia bisogno di andare a, diciamo, a, a reprimere, diciamo, per far venire fuori quelle che sono, … le fantasie.
R => Assolutamente, quindi mi pare di capire  comunque quello che tu dici è: contatto vuol dire già di per sé confine, la responsabilità è affidata al terapeuta e d’altra parte il terapeuta ha le sue difese e questo può influire sul tipo e la qualità del contatto
I =>  Sì e non solo, ma è importante dire che, prima di dare un contatto, lo chiediamo sempre: “Posso darti un contatto? Posso darti un contatto sulle spalle? Posso darti un contatto sul piede?” Eccetera, eccetera. Ed è la persona che mi da il permesso, questa è una cosa molto importante. Quindi non c’è un’invasione, ma c’è un qualcosa di diverso che è la possibilità anzi di iniziare a chiedere e a dire si o a dire no, che rispetto al contatto è una cosa fondamentale che nessuno ci insegna a fare.

R => All’epoca di Reich non si dava ancora grande importanza al controtransfert. In p.c. il controtranfert è ascolto “somatico” delle sensazioni interne del terapeuta. Come strumento per comprendere la psicologia caratteriale del paziente o anche per leggere un momento particolare dell’interazione bi-personale, nel corso della seduta. Secondo te il terapeuta si ascolta e si mette in gioco “nel corpo” includendo nel processo terapeutico le sue caratteristiche personali, anche quelle non integrate?
I => Eh se non ha voglia … va a finire che si fa del male (risata). Cioè nel senso che non è un optional, è una cosa che, diciamo … sostiene tutto il processo terapeutico. Purtroppo, diciamo, ogni lavoro c’ha i suoi rischi e il rischio nostro è quello di esaurirci, cioè di esaurire le energie, le risorse psicofisiche e di bruciarci ed è più facile bruciarsi se uno va un po’ in automatico credo. Magari lì per lì è più faticoso, no? Perché devono andare in supervisione e … , però è anche una palestra di onestà con se stessi perché …, diciamo … io credo che la bellezza, almeno per me,  di questo lavoro è che, nel momento in cui cerco, tra virgolette, di aiutare qualcun altro, in realtà sono perfettamente consapevole che attraverso di lui sto capendo delle cose mie. Quindi, diciamo, può sembrare una cosa un po’ egoistica, oppure, diciamo, e … una, una specie di masturbazione psicologica, però in realtà, e … più esco da me stesso e meno aiuto l’altro.
R => SìI => E invece, più sono dentro me stesso e più posso in qualche modo rispecchiare, in maniera un po’ più limpida, quello che l’altro mi sta portando. Se il mio livello di aspettativa, il mio livello egoico, come terapeuta è elevato … è molto elevato e… lì … è facile che vado a fare dei danni. Per esempio in molti casi è utile ammettere la propria impotenza e quindi rispettare la sincerità gli dico “Senti, ho proprio la sensazione che qui stiamo perdendo tempo”  Tatatan … (ride) e allora almeno lì ci si può fare qualcosa, se ne può parlare, quello ti può dire “No secondo me non è vero”,  “si secondo me è vero” e quindi, eccetera, eccetera, ma altrimenti rimane tutto un qualcosa di, di finto, di finto. Forse la psicoterapia è uno dei contesti in cui, pochi contesti in cui oggi ci può essere qualcosa di vero o almeno secondo me ci dovrebbe essere qualcosa di vero.
R => Quindi il controtransfert da valore a uno dei requisiti fondamentali della psicoterapia che è l’autenticità.I => Sì, assolutamente sì
R =>Assolutamente sì.
R => Per Reich e per Lowen vi sono persone che raramente sono in grado di protestare o di arrabbiarsi per qualcosa. Sovente sorridenti e gentili, chiedono poco, lavorano molto, salvo poi lamentarsi per la mancanza di piacere o di attenzione nei loro confronti. Da adulti sono ancora molto legati ai propri genitori. Infine, fisicamente sono descritti come grossi, tarchiati, pesanti. Il masochismo caratteriale era approcciato da Reich e anche da Lowen con particolari tecniche. A te un corpo con sensazioni energetiche “masochiste” che effetto fa, come ci lavori? I => (Risata) mi fa incazzare, come una bestia (ridono entrambi animosamente).. Non li sopporto e glielo dico (ridendo) Sì, sì, cioè, glielo dico, magari … cioè non è che glielo dico in maniera brutale, però … però a volte anche sì. Cioè dipende perché … e … il problema poi è che … la realtà comunque, volente o nolente … almeno all’inizio fa un po’ male e quindi nel momento in cui sento che la persona può, tra virgolette, reggere, però la porto a comprendere che questa sua modalità e … oltre ad essere molto pallosa, mi fa anche arrabbiare, cioè mi dà fastidio, mi crea una .. un senso proprio di fastidio e … di fastidio e di voglia di aggredirle, diciamo, che poi, non in senso fisico, ma anche a livello verba (parola interrotta) a volte anche in senso fisico, è chiaro che non lo faccio, però, esprimendogli appunto questo mio controtransfert, gli chiedo (piccola pausa) se, e gli domando, e glielo domando a loro, se è solo quello che provo io oppure magari probabilmente anche altre persone possono provare la stessa cosa eh, perché è chiaro che quel masochismo è una forma di aggressività indiretta e quindi diciamo “Che senso ha per te quell’aggressività? Come potresti esprimerla in maniera più diretta? Quali sono le cose che ti fanno arrabbiare? Quando ti comporti in maniera aggressiva, che tipo di sensi di colpa hai? Come ti senti?” Eccetera, eccetera.
R => Straordinario, si apre una strada … (viene interrotto)I => Se io non glielo dico che mi fa incazzare (risata) e anzi dico “Ok, sì hai ragione, poverino, quanto mi dispiace, di qua e di là” Eccetera, eccetera. Poi come si girano sbuffo e dico “Ma che palle” e faccio quello che fanno tutte le atre persone intorno a loro, ma a quel punto non sarei terapeutico. Non so come dire.
R => L’hai detto, l’hai detto.I => Sì
R => Ti ringrazio Roberto, anche qui sei stato molto preciso, tagliente. Vedo che … almeno da quello che emerge, correggimi se sbaglio, che il controtransfert comunque è un elemento … è un elemento importante nei tuoi setting, l’impiego dell’ascolto quanto l’impiego del controtransfertI => assolutamente sì. Credo che sia uno degli strumenti…  forse, forse è uno degli strumenti sicuramente più importanti perché poi, insomma, diciamo, somministrare un test siamo capaci tutti dopo un piccolo training. A … fare … diciamo un colloquio con un po’ di ascolto empatico non ci vuole tantissimo, però riuscire a stare veramente con le sensazioni e a utilizzarle nel setting.. quello secondo me, non si finisce mai di imparare.
R => Non si finisce mai di imparare, sì è un’altra cosa.

R => Il contatto fisico è un elemento centrale nella terapia corporea, eppure per molti altri orientamenti esso non è ammissibile, oppure estraneo al metodo. I terapeuti reichiani o bioenergetici vengono preparati a tale pratica, nel rispetto del confine terapeutico. Ma i pazienti sanno stare in questa modalità, come reagiscono, non si rischia che diventino a loro volta “corporei” con il terapeuta?I => E … in che senso corporei con il terapeuta? Cosa intendi?
R => Troppo prossimi, che si prendono delle licenze, che non comprendano equivocano anche o si spaventanoI => Io credo che il 99% della responsabilità ce l’ha il terapeuta. E’ questa la difficoltà, cioè nel senso che e …  lo stesso tipo di contatto, diciamo, apparentemente lo stesso tipo di contatto fisico può avere mille sfumature diverse a seconda di come uno lo dà e di chi lo percepisce. Però, appunto, soprattutto in questo rientra la preparazione nella conoscenza di sé che è il terapeuta e il controtransfert e riuscirlo a diciamo, a portare, a dire. E’ chiaro che il lavoro sui confini è fondamentale ed è  importantissimo a maggior ragione, … è chiaro che ci sono le regole del setting per questo che ci vengono incontro. Per esempio, e … se la seduta dura 50 minuti, può durare un’ora, ma non può durare un’ora e mezza. E questo è già importante e … così come è chiaro che all’interno della seduta ci può essere un contatto fisico con un paziente, ma non è che poi lo invito a venire a cena con me e se lui mi invita io lo ringrazio, ma gli dico che in questo momento non è possibile perché stiamo facendo un lavoro che è di tipo terapeutico e che quindi non si può fare. Quindi, diciamo, un contatto più intimo non significa necessariamente perdita di confini, però questa è responsabilità del terapeuta e in questo aiutare la persona a capire che ci può essere un contatto e che però c’è un limite, c’è un confine che è rinegoziabile, non è rigido, non è neanche, diciamo, stabilito a priori. Mah, io so di terapeuti che evitano di andare a prendere il gelato in un bar perché lì potrebbero incontrare il paziente. Per me questa è una cosa … un’assurdità bella e buona perché io sono un essere umano ed è chiaro che all’interno del setting terapeutico, lavoro come terapeuta, ma non è che sono un dio in terra e quindi anch’io posso mangiare un gelato e mi puoi vedere in giro, per strada con un gelato in mano. Non succede niente da un punto di vista terapeutico.

R => Semmai se quel gelato gli da qualche … gli da qualche sensazione lo vedremo nella prossima seduta, me lo portera (voce sovrapposta)I => Esattamente, esattame.. (interrompe la parola). Cioè, ci vuole un discorso molto importante sui confini e sui contesti. E … io credo che le terapie che evitano di coinvolgersi o che si mettono dietro al paziente o che assolutame (parola interrotta) neanche si da una stretta di mano, ecce (parola interrotta) nasco (parola interrotta) e quella è una difesa che nasconde una enorme paura di rimanere poi coinvolti. E’ un po’ il discorso … che a maggiore repressione corrisponde a maggiore perversione. E’ chiaro che nel momento in cui io evito persino di dare la mano al paziente, questo si comincia a fare, e io stesso tutta nà serie di … di film e … sul contatto che potrebbero, diciamo … esulare completamente dalla terapia. Va beh, in questo senso la psicoanalisi poi li utilizza come materiale terapeutico. Ma io credo che, diciamo, di materiale ce ne’ talmente tanto che non ci sia bisogno di andare a, diciamo, a, a reprimere, diciamo, per far venire fuori quelle che sono, … le fantasie.
R => Assolutamente, quindi mi pare di capire  comunque quello che tu dici è: contatto vuol dire già di per sé confine, la responsabilità è affidata al terapeuta e d’altra parte il terapeuta ha le sue difese e questo può influire sul tipo e la qualità del contattoI =>  Sì e non solo, ma è importante dire che, prima di dare un contatto, lo chiediamo sempre: “Posso darti un contatto? Posso darti un contatto sulle spalle? Posso darti un contatto sul piede?” Eccetera, eccetera. Ed è la persona che mi da il permesso, questa è una cosa molto importante. Quindi non c’è un’invasione, ma c’è un qualcosa di diverso che è la possibilità anzi di iniziare a chiedere e a dire si o a dire no, che rispetto al contatto è una cosa fondamentale che nessuno ci insegna a fare.

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