Le grandi epoche della nostra vita si hanno quando noi abbiamo il coraggio di ribattezzare il nostro male come quel che abbiamo di meglio.
Nietzsche F.,  Al di là del bene e del male

iStock_000008183124Small_610_300_s_c1_center_centerLa malattia diabetica, oltre ad essere una sindrome fisica con le ben note problematiche mediche connesse, comporta anche un insieme di notevoli cambiamenti psicologici e sociali per il paziente e per le persone intorno.

Già dal momento della diagnosi di diabete entrano in scena molti nuovi fattori con cui la persona è costretta a confrontarsi. Il diabete può essere vissuto come colpa, come ostacolo, come condanna, costringendo il neo-paziente a riflettere su se stesso e in qualche modo a ri-costruire e ri-negoziare con gli altri la propria identità.

Alla domanda “io chi sono?” sarebbe troppo riduttivo rispondere semplicemente “un diabetico”.

Le ricerche in Psicologia della salute infatti dimostrano che le modalità psicologiche con cui una persona riesce ad affrontare una malattia sono svariate e soggettive. Tali modalità soggettive, inoltre, rappresentano dei fattori determinanti per la qualità di vita del paziente e per la resilience, cioè la capacità dell’organismo di fronteggiare (e a limite superare del tutto) lo stato morboso. Ecco che diventa fondamentale esplorare e riflettere sui vissuti individuali, cioè su come io viva la malattia diabetica, le emozioni che accompagnano l’iter terapeutico, la qualità di relazioni che riesco a instaurare con gli altri. Comprendere le metafore sottostanti alla malattia, entrare in contatto con i sogni, le aspettative, le paure e le angosce che quello specifico e unico paziente sta vivendo, significa entrare nel suo mondo intimo e da lì accompagnarlo verso l’efficacia terapeutica e nella costruzione di uno stile di vita più sano e aderente al suo stato di salute.

Viceversa, la semplice prescrizione di uno “stile di vita sano” che sia uguale per tutti i pazienti, oltre ad essere inutile (ad esempio: tutti sappiamo che il fumo fa male eppure fumiamo) è un insulto alla persona che abbiamo di fronte, in quanto non tiene conto della sua vita, della sua storia, del suo carattere, delle sue motivazioni, dei suoi limiti e difficoltà, della sua rete sociale ecc.

Quando sono stato contattato dall’associazione ADE Gubbio per effettuare un intervento all’interno della settimana autogestita, mi sono chiesto a lungo quale poteva essere il senso e il fine di un tale incontro. Come psicologo della salute e psicoterapeuta corporeo avevo già collaborato con altre realtà associative ed istituzionali che si occupano di diabete e mi ero fatto l’idea che uno degli obiettivi più importanti per incidere significativamente sugli stili di vita consiste nel rendere i pazienti più consapevoli di sé. Consapevoli di sé a vari livelli: ciò che sento nel corpo, quali sono le mie emozioni, come mi relaziono agli altri, quali sono le mie paure rispetto alla malattia, come reagisco nel prendere atto dei limiti che la patologia impone, ecc.

E’ chiaro che una lezione frontale e cattedratica avrebbe l’unico risultato di far chiudere ulteriormente la persona-paziente: io sarei l’ennesimo esperto che con fare sacerdotale suggerebbe ricette e consigli, colludendo con l’idea salvifica inconscia del paziente che sarà un altro (medico-psicologo-angelo custode) a togliermi dai guai esimendomi dal prendere finalmente la respons-abilità di me stesso…

E allora che fare? Forse allestire un contesto di fiducia, non-giudizio, un contesto di gioco in cui potersi esprimere un po’ più liberamente, potrebbe far venir a galla ciò che sta di solito tra le righe del non detto? Forse qualche forma “artistica” di espressione potrebbe essere un collante che leghi persone diverse accomunate dalla stessa patologia diabetica e li porti a riflettere su quelle parti di sé che solitamente rimangono in ombra un po’ per vergogna un po’ per timore?

La scrittura creativa ci può venire incontro agevolmente per facilitare una presa di coscienza maggiore e aprirci al confronto con glia altri. La risorsa del gruppo, poi, se ben canalizzata, può essere un risuonatore-amplificatore ed elaboratore di emozioni condivise, restituendo ai singoli molto di più di quanto essi individualmente hanno portato.

L’esperienza che ho proposto al gruppo ADE Gubbio (circa 50 persone) era composta di tre momenti in successione. In una prima fase ho invitato tutti a immaginare per qualche minuto che il diabete si incarnasse, divenisse cioè una persona, con le caratteristiche di un essere umano: uomo o donna, giovane o anziano, simpatico-antipatico, ecc. In questo modo ognuno ha potuto cominciare a contattare le proprie fantasie rispetto al diabete e rendersi conto di qualche aspetto emotivo importante (“non ho voglia neppure di stringergli la mano”, “Mi sta proprio antipatico”….). Poi ho invitato tutti a prendere carta e penna e scrivere un breve dialogo tra se stessi e questa persona-diabete, in cui ci si potesse presentare e dire qualcosa di sé, ascoltare qualcosa dell’altro. Ognuno aveva la possibilità di fare al diabete qualche domanda, magari per conoscerlo meglio o rispondere a qualche curiosità… Ho cercato di instaurare un clima molto rilassato, libero dal giudizio, ribadendo che questi scritti sarebbero rimasti individuali e nessuno avrebbe costretto l’altro a condividere quanto era emerso, ma ognuno avrebbe poi deciso se e quanto condividere con gli altri nella fase successiva.

Le reazioni a questa insolita proposta sono state molteplici e diversificate. La maggior parte dei presenti ha accettato la “sfida” di buon grado e molti si sono immersi nella scrittura. Diverse persone hanno trovato difficoltà a contattare la propria parte creativa, manifestando disagio oppure dicendo esplicitamente di non volere/non riuscire a farlo. Questa difficoltà è stata accolta, accettata e rispettata: ognuno era libero di fermarsi in ogni momento, evitando però di disturbare gli altri.

Dopo circa venti minuti di questo “lavoro individuale”, ho proposto al gruppo di dividersi in quattro sotto-gruppi. Ognuno di essi aveva il compito di elaborare uno scritto su una traccia specifica. L’obiettivo era sperimentarsi nel lavoro di gruppo e, a partire dai propri scritti individuali e dalla personalità del Diabete che emergeva da essi, immaginare scenari diversi in cui il vissuto della patologia diabetica potesse esprimersi più liberamente.

Il primo gruppo immaginava che il “signor/signora Diabete” fosse alle prese con la vita lavorativa, quindi aveva l’obiettivo di elaborare un dialogo tra Diabete e un collega di lavoro su una questione “spinosa”. Il secondo gruppo lavorava sul rapporto tra Diabete e sport-movimento, anche in questo caso elaborando un dialogo scritto. Il terzo gruppo si occupava di Diabete/persona ed alimentazione, mentre il quarto si dedicava al rapporto Diabete-sessualità e vita amorosa.

E’ stato interessante constatare come in questo frangente il processo di condivisione, costruzione ed elaborazione di una tematica che necessariamente “ci tocca” sia più importante del risultato finale dello scritto. In altre parole la possibilità di confrontarsi su questi temi in maniera “giocosa”, “artistica” e “metaforica” (stare dentro l’argomento come se non ci si stesse) ha creato una forte energia e motivazione nei sottogruppi, chiaramente percepibile dal livello di coinvolgimento di tutti i partecipanti. Riflettere su come ognuno di noi si relazione agli altri nel gruppo, capire quali parti di sé egli porta e quale ruolo tende ad incarnare, forniscono spunti riflessivi interessanti e utili alla comprensione di sé.

La terza fase della proposta consisteva nella lettura al gruppo esteso dei quattro scritti. E’ stato un momento toccante che ci ha dato la possibilità di intuire molti nuovi aspetti del vissuto del paziente diabetico rispetto a diverse sfere della vita (lavoro, sessualità, alimentazione, stile di vita). In questa sede si sono anche raccolte e condivise le impressioni e le emozioni che questo tipo di lavoro ha suscitato. Molti partecipanti hanno confermato che per loro è stato un momento di piacevole scoperta e che il gioco ha introdotto in realtà una dimensione molto seria ed importante in quanto intima e personale.

Nel tempo limitato di circa due ore l’obiettivo di gettare un piccolo seme di consapevolezza è stato ampiamente raggiunto. Come testimoniato dai partecipanti, un lavoro del genere potrebbe rappresentare il preludio per un vero e proprio percorso di crescita qualora si articolasse in un ciclo di 10-15 incontri. L’obiettivo finale e tangibile potrebbe essere l’elaborazione di uno scritto da pubblicare, oppure di un’opera teatrale da drammatizzare…La risorsa gruppo potrebbe essere davvero utilizzata al meglio come contenitore e cassa di risonanza emotiva, permettendo anche di raggiungere un livello di comprensione reciproca, intimità e simpatia alla base di una buona rete di sostegno tra pari. Da questo percorso che è allo stesso tempo intimo-personale e comunitario-sociale, può scaturire una nuova visione di noi stessi e della patologia diabetica, in modo da trovare nuovi dinamici equilibri di coesistenza con la malattia, gestione consapevole e miglioramento positivo dei nostri stili di vita.

Dott. Roberto Ausilio

Psicologo della Salute e Psicoterapeuta, si occupa da più di dieci anni di rapporti mente-corpo, bioenergetica e promozione della salute. Professionista appassionato ed eclettico ha sempre cercato di portare la sua curiosità a maturità operativa e strumentale al cambiamento positivo individuale e sociale. Lavora come terapeuta, conduttore di gruppi e progetti ad Orvieto, presso il “Centro Mandàla”. Ha pubblicato, oltre a numerosi articoli scientifici e divulgativi, due libri: il saggio di psicologia e antropologia “Fascino che vai per la via” (Borè ed. 2010) e la raccolta di poesie “Ali di Vetro” (2011). Per maggiori informazioni e per contatti consultare i siti: www.robertoausilio.it e www.centromandala.info

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