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Tuo figlio ti fa impazzire? Ti senti arrabbiato, disperato, ostaggio dei tuoi figli? Capisci che tuo figlio soffre ma non sai cosa fare? Ma bambini ed adolescenti con problemi di comportamento sono semplicemente bambini difficili?

Non vanno ancora a scuola e sono sempre più rabbiosi e aggressivi tanto che spesso vengono definiti come “bambini difficili” o peggio “bambini cattivi”. Le ricerche dicono che un bambino su dieci in età prescolare, ovvero fino ai cinque anni, presenta disturbi del comportamento di vario grado. Se è vero che gli esperti rassicurano che spesso non si tratta di una patologia vera e propria, è un segnale da non sottovalutare e che va letto come la crescente difficoltà dei genitori di educare i propri figli in una società sempre più complessa e con punti di riferimento troppo mutevoli. Bambini con una carica di aggressività che li rende estremamente difficili da educare. E bisogna considerare gli effetti a lungo termine di queste difficoltà nella prima infanzia: sono proprio i bambini oggi “difficili” quelli che con maggiore probabilità domani svilupperanno condotte a rischio. E se non esistessero “bambini cattivi”, ma solo “bambini infelici”?

A volte sono gli adolescenti ad essere definiti “difficili”: ribelli, maleducati, fumano, non accettano regole. Quasi sempre sgridare e punire non basta. Quando gli insegnati o i genitori si sentono disperati e non sanno più che cosa fare è meglio chiedere aiuto piuttosto che arrendersi (“è così, non c’è niente da fare…”), oppure aumentare il livello di aggressività e rabbia e contro-reagire (più note, sospensioni, bocciature, castighi, botte…). I genitori devono essere aiutati ad occuparsi dei problemi del figlio innanzitutto capendone il significato.

Lo psicologo può aiutare il genitore a:

–       Capire il significato del problema di comportamento del figlio.

–       Capire il proprio ruolo e la propria responsabilità nel causare e/o nel mantenere il problema.

–       Capire le responsabilità di scuola e/o amici nel problema.

–       Non sentirsi impotenti.

–       Trovare strategie adeguate per affrontare il problema.

–       Verificare la strategia utilizzata. Lo psicologo può aiutare il bambino o l’adolescente a:

–       Comprendere il significato profondo del proprio comportamento.

–       Elaborare strategie diverse per affrontare le problematiche interne, psicologiche, inconsce che portano a quel comportamento. –       Contattare la propria sofferenza emotiva.

–       Parlare con i genitori.

Bambini “cattivi”?

I bambini che hanno disturbi di comportamento sono bambini difficili da sopportare. Vengono definiti bambini “cattivi, ribelli, capricciosi, antipatici, svogliati, oppositivi, arrabbiati”. In alcuni casi questi bambini diventano la disperazione del genitore o dell’educatore e nemmeno i compagni sono del tutto contenti di averli intorno. Ma spesso i “bambini cattivi, antipatici e ribelli” sono bambini che soffrono. Invece di giudicarli male e di sperare che maturino con il tempo, proviamo a pensare che certi comportamenti difficili o strani, sono un modo per esprimere il disagio. Sono bambini che soffrono e che non riescono a comunicare la loro sofferenza a parole.

 

Adolescenti insopportabili o depressi solitari?

Anche gli adolescenti che vivono qualche forma di disagio il più delle volte non ne parlano, ma attuano comportamenti imprevedibili e inaccettabili: impulsività, manifestazioni di rabbia a livello verbale e motorio, contrapposizione alle regole degli adulti, incapacità di concentrazione e di attenzione nei compiti scolastici, sessualità strana e pericolosa.

Ci troviamo di fronte ad adolescenti ribelli, oppositivi, arrabbiati, aggressivi, antipatici e delinquenti. A volte gli adolescenti che soffrono possono diventare al contrario depressi, solitari, isolati, svogliati, non interessati a nulla, tristi. Il rendimento scolastico ne può risentire pesantemente, così come la capacità di concentrazione necessaria allo studio.

Quali sono le cause dei problemi di comportamento nell’infanzia e nell’adolescenza?

Raramente vi possono essere cause di tipo neurologico, quindi legate alla funzionalità del cervello, dovute a lesioni o a malattie, che devono essere diagnosticate e curate per evitare danneggiamenti più consistenti sulla sfera emotiva, sociale e intellettuale. Escludendo questo aspetto, le cause dei comportamenti disturbati sono da ricercarsi nelle situazioni che i ragazzi vivono nella loro realtà quotidiana.

Una causa di disagio poco considerata dai genitori è il richiedere al bambino di fare troppe attività nell’arco della giornata. Il bambino ha poco tempo per giocare liberamente da solo o con i coetanei e questo può produrre una situazione emotivamente stressante, che genera un comportamento problematico. Un’altra causa di disagio è nelle situazioni difficili vissute dai genitori, ad esempio le separazioni molto conflittuali nelle quali il bambino o il ragazzo assiste ai litigi o anche a momenti di violenza. Vi possono essere momenti difficili della vita degli adulti (un lutto, la perdita del lavoro, una grave malattia) che incidono sul bambino, producendo disagio. Vi sono inoltre situazioni nelle quali i genitori, senza esserne consapevoli, producono sofferenza ai figli, che reagiscono con comportamenti difficili o incomprensibili.

 

Genitori che adorano i figli, figli senza regole

L’assenza di regole chiare, la possibilità di non rispettare le regole date, l’indulgenza verso bambini capricciosi e prepotenti caratterizza sempre più frequentemente i rapporti familiari; questi aspetti causano spesso danni durevoli all’educazione dei figli.

Le regole sono regole. Le regole invece di essere imposte si discutono. Una volta un padre o una madre avrebbero detto “se tieni il cellulare a tavola, non mangi”. La situazione attuale è diversa. Si dice solo, con tono spesso superficiale, di non tenere il cellulare a tavola; peggio ancora è proprio l’adulto che si intrattiene con il telefonino durante il pranzo. Un simile comportamento rende impossibile stabilire delle regole: le stesse sono oggetto di discussione e spesso di trattativa fra genitori e figli. L’effetto che si determina è che certi comportamenti, agli occhi del bambino, passano per atteggiamenti “normali”.

Quale aiuto può dare lo psicologo

La psicologia e lo psicologo aiutano i genitori a riconoscere i segnali di disagio e a interpretarne il significato. Inoltre la psicologia indirizza i genitori a modificare i loro comportamenti che producono disagio nel bambino. Spesso il genitore che produce sofferenza nel figlio è una persona che ha bisogno di essere aiutato. Il sostegno di uno psicologo può permettergli di modificare il proprio modo di comportarsi con il figlio.

 

Gratificare e premiare: strategie per gestire comportamenti difficile (a scuola e a casa)

Quando si ha a che fare con bambini oppositivi, che non rispettano le regole e che fanno confusione, purtroppo le reazioni più comuni, generalmente anche poco efficaci, sono:

–       Sgridare

–       Fare le prediche

–       Minacciare (spesso senza poi far seguire i fatti alle parole)

–       Punire

In queste circostanze circolano emozioni di rabbia e frustrazione sia nell’adulto che nel bambino, presi in una sorta di fallimentare braccio di ferro per il controllo della situazione.

Premi e punizioni

Se si vogliono modificare specifici comportamenti è più efficace ricorrere a strategie che si basano su premi piuttosto che su punizioni: i bambini sono infatti molto più motivati a fare qualcosa se così facendo ottengono un risultato positivo: “controllano” in tal modo la situazione attraverso il proprio comportamento e hanno una gratificazione per la fatica impiegata.

Le punizioni (date in risposta al non aver fatto quanto atteso) vanno invece usate solo in caso di necessità perché, sebbene possano agire da deterrente, non è escluso che inneschino dei comportamenti problematici, dettati dal risentimento e dalla frustrazione. Inoltre non fanno migliorare l’autostima del bambino. E’ comunque sempre auspicabile che coincidano con perdite di privilegi (es.: divieto di vedere la tv la sera), piuttosto che con l’obbligo a fare cose indesiderate (es: operazioni di aritmetica supplementari).

Inoltre, i premi forniscono ai bambini un incentivo temporaneo a provare nuove modalità di comportamento; possono essere concordati con il bambino, dandogli così l’attenzione e il “controllo” di cui ha bisogno; possono essere beni materiali, ma anche attività (per esempio tempo di gioco esclusivo con mamma o papà o con i compagni di classe); dovrebbero essere cose attraenti ma piccole (sebbene commisurate allo sforzo richiesto al bambino).

E se fosse iperattivo?

Spesso un genitore rivolge questa domanda allo specialista, laddove anche premi e punizioni non bastavano a dare una “regolata” al comportamento del proprio figlio.

Si fa presto a definire questi bambini agitati, che non stanno mai fermi, bambini “cattivi”, disobbedienti, arrabbiati, ribelli, nervosi, intrattabili. Sono alcuni di quei bambini che troviamo alle feste dei nostri figli, nei bus o sul treno, nelle scuole o per la strada e che si mostrano continuamente agitati, in continuo movimento, che non riescono a stare mai fermi, che si dimenano continuamente e che i genitori trovano grande difficoltà a tenere “buoni”.

Quando, poi, iniziano a frequentare la scuola sono quei bambini che le insegnanti non vorrebbero mai tenere: si alzano continuamente dal loro posto, danno fastidio ai compagni, non riescono a svolgere i compiti assegnati e finiscono spesso per cambiare banco, classe e talvolta scuola. Il loro profitto scolastico, proprio per la ridotta capacità di concentrazione, è spesso scarso o comunque sufficiente ed difficile è il loro rapporto con i coetanei per la grande impulsività.

La loro difficoltà viene percepita da genitori e insegnanti ma spesso non viene fatta una diagnosi esatta del problema e di conseguenza anche l’intervento molto spesso risulta sbagliato e fallimentare. In realtà i bambini iperattivi non hanno nessun problema, né tantomeno i loro genitori che invece vengono additati come incapaci a svolgere bene il proprio ruolo di educatori. Se il bambino risponde ad una serie di criteri clinici ben definiti dal mondo scientifico la loro è una vera patologia organica e come tale meritevole di una precisa terapia. Solo con l’ausilio di una giusta terapia i bambini cambieranno radicalmente il loro modo di vivere e tutti, genitori, insegnanti, compagni ma soprattutto il bambino, potranno finalmente cogliere la bellezza di una vita normale.

Occorre fare un’estrema cautela nel distinguere un disturbo di iper-attività da un’agitazione e un’iper-attività causata da uno stato di disagio o di sofferenza del bambino, da un problema famigliare, da maltrattamenti o da altre patologie sia psicologiche che organiche alle quali è esposto (per esempio maltrattamenti o conflitti in famiglia).

È quindi davvero molto importante quando si è in presenza di un bambino che sembra iperattivo, troppo impulsivo, agitato, incapace di concentrarsi, ricorrere all’aiuto di uno specialista per verificare insieme a lui le cause di tali comportamenti. Se infatti l’ADHD ha cause di tipo organiche, è assai frequente che condizioni di disagio o di sofferenza si manifestino nel bambino con comportamenti agitati e impulsivi che vanno letti solo ed esclusivamente come indicatori di sofferenza. In tal caso quindi occorre eliminare la causa della sofferenza a monte. La diagnosi di ADHD è in alcuni casi non semplice, ma questo non deve spingere a non diagnosticare.

Chiedi aiuto, non sgridarlo. La terapia per l’ADHD deve basarsi su un approccio che tenga conto sia di aspetti legati alle origine organiche del disturbo, e che spesso necessita di farmaci per essere curato, ma che utilizzi anche interventi psicoeducativi.

I bambini oppositivi-provocatori

Tra i vari bambini “difficili”, dedichiamo un po’ di tempo a quelli che esibiscono un comportamento oppositivo-provocatorio, che può iniziare a presentarsi già dai 3 anni ma che diventa in genere più evidente e “problematico” con l’ingresso a scuola, quando aumentano cioè le richieste di adattamento alle regole.

Questi bambini litigano frequentemente con i pari, sfidano richieste e limiti posti dagli adulti, sono collerici, accusano gli altri se rimproverati, mostrano rancore e offendono. In classe scatenano risate generali, innervosiscono i compagni, assumono un atteggiamento di passivo rifiuto o di sfida aperta nei confronti degli insegnanti. Inoltre, volendo sempre stare al centro dell’attenzione, hanno difficoltà anche nel contesto ludico: faticano nella collaborazione di squadra e nel rispettare l’alternanza dei turni.

Se la modalità comportamentale ostile si presenta in modo ricorrente e per almeno sei mesi la si può definire come un vero e proprio disturbo. In ogni caso, anche di fronte a una forma “non clinica”, le questioni che si presentano all’adulto sono le stesse: come estinguere o far diminuire i comportamenti problematici che producono una compromissione del funzionamento scolastico e sociale e, quindi, anche problemi di autostima nel bambino? Prendersene cura è molto difficile ma esistono delle strategie.

Partiamo da cosa non fare, ossia da alcuni “errori educativi” comuni da evitare perché possono facilitare l’insorgenza o il mantenimento di condotte oppositivo-provocatorie:

–       Permissivismo: la mancanza di regole definite impedisce al bambino di capire quali saranno le risposte dell’adulto alle sue azioni.

–       Incoerenza: alternare punizioni e ricompense senza una ragione chiara, lasciandosi condizionare dal proprio stato d’animo (piuttosto che dall’oggettivo comportamento del bambino) lo disorienta.

–       Iperprotezione: il controllo genitoriale eccessivo ostacola la crescita socio-cognitiva del bambino che, insicuro, può reagire con atteggiamenti di ribellione e sfida dell’autorità adulta.

–       Uso eccessivo delle punizioni: ponendosi come modello d’apprendimento, la punizione rafforza la tendenza del bambino a risolvere i conflitti e imporre la propria volontà attraverso l’aggressività.

E ora, cosa fare:

–       Concordare e far rispettare poche regole chiare che tutti dovranno osservare in casa o a scuola, evitando la forma negativa (es. “parlare a voce bassa” invece di “non gridare”).

–       Preferire i premi (per i comportamenti positivi, anche piccoli, che conducono alla condotta desiderata) alle punizioni e darli in breve tempo, altrimenti l’effetto comportamentale svanisce.

–       Scegliere le punizioni (comunque mai fisiche) solo per comportamenti molto gravi (esplicito danno verbale o fisico agli altri).

–       Preferire sempre la perdita di un privilegio (es. uscire o usare il pc) alla punizione (es. fare qualcosa di spiacevole).

–       Ignorare le “esibizioni” del bambino, ossia rimuovere il rinforzo derivante dall’attenzione degli “spettatori”.

–       Spiegare al bambino le motivazioni che rendono inadeguata la sua condotta, senza formulare giudizi (per non gravare sulla sua già bassa autostima) e suggerire modalità alternative indicandone i vantaggi.

–       Individuare e agire sugli antecedenti del comportamento problematico (attenuare o modificare l’esposizione alle situazioni che normalmente conducono a comportamenti oppositivi).

Questi “terribili” bambini hanno insomma bisogno di limiti chiari entro cui muoversi, di sperimentare che possono essere gratificati e ricevere riconoscimento (affettivo e sociale) quando mettono in atto comportamenti positivi e di aggregazione. Hanno cioè bisogno di aumentare la propria autostima attraverso la relazione con l’altro e la costruzione di legami duraturi su cui far affidamento (invece di distruggerli). In questo percorso gli adulti hanno un ruolo fondamentale.

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Il caso di Marco, 4 anni

Marco viene portato dalla psicologa quando ha 4 anni e le maestre della scuola materna insistono con i genitori per una visita alla neuropsichiatra infantile: i genitori sono sconcertati, il padre soprattutto è molto critico circa le richieste della scuola, pensa che Marco sia solamente un po’ agitato (“proprio come ero io da bambino”).

In realtà il padre fa un lavoro che limita la sua possibilità di stare a contatto con il figlio, che lui vede solo la domenica; è la madre che si fa carico totalmente del bimbo. Questa sembra più propensa ad ammettere che Marco è difficile, “è un bambino testardo, non riesco a dargli le regole”, ma sembra nel contempo molto preoccupata del giudizio che la psicologa potrebbe avere nei suoi confronti e, nei primi incontri di conoscenza, tende a presentare la vita del bambino come idilliaca: il figlio era desiderato, la gravidanza e il parto sono andati benissimo, il bambino non ha avuto problemi ad inserirsi nella scuola materna…

La psicologa chiede di raccontare cosa succede quando il bambino non rispetta le regole e lei dice che gli ricorda più volte cosa deve fare, ma lui fa finta di non sentire, è “sordo” ai suoi richiami, allora lei va dal figlio e lo solleva di peso per costringerlo. “Ma se Marco si ribella, lei cosa fa?” “Lo picchio, quando lo picchiavo a due anni non capiva, adesso capisce”. I problemi di Marco, dice la mamma, sono iniziati quando lui ha cominciato a camminare, andava in giro per la casa, toccava vari oggetti, si contrapponeva a lei e alle sue indicazioni.

Quando Marco arriva per la prima volta, la psicologa nota che è un bambino gravemente disturbato, è ipercinetico, si muove con molta agitazione nell’ambiente, come se ci fosse solo lui, è sordo alle richieste degli adulti, non vuole togliersi il cappotto, scappa dalla stanza dove si trova, si butta per terra, apre le porte delle altre stanze, grida per disturbare gli altri. Negli incontri successivi, la psicologa osserva che Marco ha sia atteggiamenti autolesionistici, fa giochi pericolosi, che un grave ritardo motorio, linguistico e sociale: si mette a gattonare invece che camminare, mette in bocca i giochi e li succhia. Il bambino usa un linguaggio regredito che sembra un codice segreto tra lui e la mamma, non vuole che lei si allontani dallo studio, vuole giocare e parlare solo con la mamma e non con la psicologa; la madre non contrasta queste modalità, appare affettuosa e protettiva con il figlio.

La psicodiagnosi evidenzia che Marco sia da una parte il bersaglio di forme di aggressività impulsiva della madre che d’altra parte ha, nei suoi confronti, un atteggiamento iperprotettivo o di impedimento della minima autonomia. La madre ha modalità simbiotiche, consistenti nell’impedire al figlio di fare le cose da solo, nel punirlo o sgridarlo se prende delle iniziative, nell’approvarlo soltanto se lui stava in braccio o vicino a lei o seguiva totalmente le sue indicazioni.

Marco aveva intuito in modo inconscio che restare “piccolo e regredito” era l’unica possibilità che lui aveva per mantenere il legame affettivo con la madre: si era quindi adattato a restare così, a parlare e comportarsi come un bambino molto più piccolo, e nello stesso tempo aveva provato molta rabbia per non poter evolvere.

In questo caso è stata necessaria la presa in carico della madre e del bambino. Nel corso della psicoterapia è emerso come la madre di Marco fosse stata condizionata sia da un padre violento che le ha imposto delle regole dispotiche mediante la minaccia di punizioni fisiche e l’intimidazione che da una madre poco protettiva, incapace di difenderla dal padre: questo aveva acuito inconsciamente il suo bisogno di iperproteggere il bambino, allontanandolo dagli altri.

 

Per concludere diciamo che fare il genitore è sicuramente uno, se non il, mestiere più difficile che esista. E nessuno ce lo insegna, né tantomeno si è realmente pronti a farlo. Inoltre, non sappiamo che bambino ci troveremo di fronte, quale sarà la sua personalità. Non è detto che ciò che facciamo con un bambino sia adatto anche ad un altro. Ed è anche per questo che non esiste nessun manuale del perfetto genitore. Si possono però dare delle indicazioni su come farlo, nel miglior modo possibile, per sé stessi ma soprattutto per il bene del proprio bambino.

Ma nel caso si abbiano dei dubbi, si pensa di non essere in grado, si è spaventati, è bene rivolgersi ad uno specialista, che con la sua preparazione saprà orientarci nel difficile compito genitoriale. E come abbiamo visto, esistono delle situazioni in cui è necessario contattare uno specialista, perché ci potremmo trovare di fronte anche ad un bambino con dei seri disturbi che possono essere affrontati soltanto con l’aiuto di uno psicologo o di uno psicoterapeuta.

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