capricci-geni-alimentari1. Un genitore come può capire se un figlio ha problemi con il cibo? Ci sono sintomi, campanelli d’allarme, comportamenti chiave?

I problemi con il cibo che un ragazzo/a può avere si manifestano a volte in maniera abbastanza evidente.  In alcuni casi riscontriamo un rifiuto pressoché assoluto del cibo oppure un comportamento compulsivo con la necessità di mangiare di continuo. In altri casi possiamo assistere a delle abbuffate a cui segue il vomito auto-indotto. In generale possiamo dire che i primi campanelli di allarme riguardano un atteggiamento del ragazzo nei confronti del cibo, che si sposta dall’essere un mezzo di sostentamento e sano piacere per diventare qualcosa di diverso, assumendo un’assoluta importanza e occupando la maggior parte dei pensieri. In altri termini il cibo diviene qualcosa di ossessivo, come una calamita che attira a sé le attenzioni della persona problematica e dunque anche dei suoi familiari. Il cibo e i comportamenti ad esso connessi diventano qualcosa di “simbolico”, attraverso cui si manifesta un disagio più ampio che ha a che fare con il proprio mondo interiore e le emozioni inconsce.

I campanelli di allarme possono essere diversi: il ragazzo inizia a non mangiare, a rifiutare diversi tipi di cibo, mangia di continuo, si sveglia la notte per mangiare, inizia una dieta ferrea per dimagrire, non si piace fisicamente, si vergogna di mostrare agli altri alcune parti del corpo che reputa brutte o grasse, ecc. In generale possiamo dire che ci possono essere segnali di disagio “diretti”, inerenti cioè il comportamento alimentare vero e proprio, oppure “indiretti”, come il non piacersi, avere una scarsa autostima, risentire di un senso di vergogna rispetto al proprio corpo, manifestare comportamenti aggressivi o autolesionisti, evitare il contatto con gli altri e con l’altro sesso e manifestare la tendenza ad isolarsi per non mettersi in gioco.

2. Se un genitore ritiene che il figlio viva un disagio alimentare, cosa può fare? Conviene che provi a parlare con il figlio? Deve affrontare l’argomento direttamente o provare a capire da cosa può nascere il malessere?

Far finta di niente rappresenta in questi casi una vera e propria “bomba ad orologeria”. La politica dello struzzo non è mai utile nei casi di disagio psico-corporeo. Innanzitutto il genitore dovrebbe “rispecchiare” al figlio quanto vede e manifestare in maniera serena anche la propria preoccupazione. Per far ciò è necessario che i genitori siano in grado di effettuare una comunicazione empatica ed attiva con i figli, cosa purtroppo molto rara perché mancano nel nostro paese dei contesti di apprendimento in cui i genitori possano imparare a dire le cose in maniera utile ed efficace ai propri figli.

Certamente nelle famiglie in cui tra genitori e figli esiste un buono scambio empatico e la comunicazione è sufficientemente fluida, parlare apertamente dell’argomento con il ragazzo può essere molto utile, perché permette di “aprire” il problema, mentalizzarlo e trovare delle soluzioni insieme. A mio avviso, però, se una famiglia è in grado di far questo da sola, vuol dire che è una famiglia equilibrata e sana ed è estremamente raro che in essa si verifichino grandi problematiche di tipo alimentare. Viceversa, il sintomo del disagio alimentare, indica che qualcosa non funziona proprio nello scambio comunicativo e nelle emozioni di quel sistema. Di solito si verifica un gran minestrone di emozioni in cui ci si scambiano accuse reciproche, non ci si capisce e non si è in grado di “fare contatto” con l’altro. In questi casi è assolutamente necessario rivolgersi ad un bravo psicologo, che sia di sostegno per i genitori e li aiuti a comprendere quali comportamenti e atteggiamenti sono più utili in quella specifica famiglia e circostanza. Da soli non si può fare molto, anzi a mio avviso si rischia solamente di fare danni ulteriori. Dato che il disagio alimentare nasce, si manifesta e ha un valore simbolico e metaforico nella famiglia, i genitori sono troppo coinvolti per poter fare qualcosa di terapeuticamente valido per il proprio figlio. La cosa migliore è dunque ammettere a sé stessi e alla coppia il proprio senso di frustrazione, la propria preoccupazione e i sensi di colpa, prendendo atto della propria impotenza ad affrontare da soli questo problema. Da questa base è utile partire per chiedere l’aiuto di un esperto: uno psicoterapeuta corporeo, sistemico o familiare che aiuti la famiglia a trovare un nuovo equilibrio. Occorre dunque una persona che sia esterna al problema per cogliere con occhi diversi e meno coinvolti tutte le sfumature che sfuggono agli attori del processo. In questo caso la psicoterapia è anche una sorta di rispecchiamento che consente di diventare consapevoli delle proprie modalità di funzionamento per attuare dei piccoli (ma alla lunga sostanziali) cambiamenti di salute.

3. Un genitore come può intervenire nel disagio, come deve inserirsi nel rapporto del figlio con il cibo (Forzarlo? Lasciarlo libero?)

E’ poco utile fornire dei consigli che siano validi per tutti, in ogni famiglia. Anche perché il mondo dei disturbi alimentari è talmente vasto e variegato che si rischia di dare risposte che possono andare bene per qualcuno ma non qualcun altro. La specificità dello psicologo è proprio questa: comprendere il contesto, la situazione e le persone che sono coinvolte in “questo particolare disagio.” In alcuni casi “forzare” può essere utile, in altri completamente deleterio. In generale occorre comprendere che non è tanto importante ciò che si fa, ma “il modo” in cui lo si fa. Se una mamma è sempre stata remissiva con suo figlio, a causa del suo carattere, dei suoi sensi di colpa e per via della sua storia personale, consigliarle di essere forte, direttiva e autoritaria con il ragazzo non ha alcun senso. La madre, anche sforzandosi di farlo, risulterebbe tutt’altro che autentica e il ragazzo sarebbe confuso da questo comportamento. Ognuno di noi può essere se stesso, cercando di esserlo al meglio. Ciò significa conoscersi a fondo, accettarsi per quello che si è, con i propri limiti. La coppia genitoriale, ove presente, è di fondamentale importanza: rappresenta uno spazio che se ben coeso e integrato fornisce la “base sicura” al ragazzo adolescente per sganciarsi emotivamente dalla famiglia di origine e camminare con le proprie gambe. Nel caso il figlio manifesti dei disagi alimentari e comportamentali, la salute della coppia è la prima cosa che un genitore dovrebbe prendere in considerazione. Solo se siamo felici nella nostra vita sentimentale e intima, possiamo essere genitori efficaci e aiutare il ragazzo adolescente nel suo delicato compito evolutivo di diventare in-dividuo, cioè integro e in grado di far fronte alle difficoltà e alle responsabilità della vita.

In altri termini, ciò che il genitore può fare è prendersi cura di se stesso e del proprio benessere, evitando di “scaricare” sul figlio le proprie frustrazioni. Ciò non vuol dire disinteressarsi ai suoi problemi, ma al contrario aiutarlo a capire i confini tra me e te, tra le mie emozioni e le tue, il mio corpo ed il tuo. Il genitore attento e consapevole che si accorge di un disagio, cercherà di indirizzare il proprio figlio verso un bravo psicoterapeuta e a sua volta si farà delle domande rispetto a se stesso, al proprio livello di soddisfazione e piacere, valutando la possibilità di chiedere anch’egli come genitore un sostegno psicologico in questo momento difficile. E’ facile che i problemi alimentari rappresentino infatti un conflitto che la famiglia vive tra fusione e separazione. Da una parte vogliamo stare insieme, dall’altra sorge l’esigenza di spazi individuali e ciò coincide spesso con il periodo dell’adolescenza e con l’uscita di casa dei figli.

4. A chi è consigliabile che il genitore si rivolga se ha il sospetto di un disagio alimentare nel figlio?

Ad uno psicologo, meglio se anche psicoterapeuta. In particolare funzionano bene la psicologia della salute, la terapia psico-corporea, la bioenergetica, l’approccio sistemico-relazionale e familiare. Il professionista aiuta a comprendere meglio il disagio, ricercarne le cause, evidenziare e valorizzare le risorse individuali e familiari, per innescare una spirale di benessere, piacere e vitalità, in cui il sintomo alimentare si trasformerà in un ricordo del passato.

dott. Roberto Ausilio

Psicologo della Salute, Psicoterapeuta Corporeo.

Centro Mandala – Orvieto

www.robertoausilio.it

www.centromandala.info

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