Ansia e Panico (parte 3)84 bioenergetica1

Abbiamo detto che negli attacchi di panico anche le gambe vengono meno e si perde la capacità di tenere una tensione isometrica tale da governare tutte le funzioni. Gli arti inferiori hanno in bioenergetica una funzione importantissima: ci sostengono contro l’attrazione gravitazionale (stress), Ci permettono di spostarci nello spazio; con esse camminiamo ma anche calciamo, corriamo, sentiamo la terra, sosteniamo il corpo e, con i piedi, siamo anche capaci di tatto.
In terapia sappiamo che ogni movimento, piccolo che sia, è già un movimento complessivo e che, nella sua esecuzione, coinvolge l’intero organismo. Perciò i riflessi comportamentali che impediscono il movimento fluido e coerente, vanno cercati ed indagati anche in altre parti del corpo che possono essere vicine o lontane dall’organo implicato.
È come se i nostri ricordi fossero conservati in scrigni muscolari le cui chiavi sono celate in alcuni dettagli dei movimenti complessivi.

L’esercizio del bend-over ha la funzione di migliorare il proprio grounding, cioè il radicamento a terra e nella realtà del corpo. Questa posizione, se eseguita correttamente e congiunta alla respirazione addominale, provoca delle vibrazioni involontarie nelle gambe. La qualità e l’intensità delle vibrazioni è strettamente connessa alla capacità di “arrendersi al corpo”, cioè avere fiducia in se stessi e reggere l’eccitazione.
Il bend-over non è semplicemente un esercizio, ma rappresenta la possibilità di “scendere” nel corpo e scoprire molti aspetti del proprio carattere e del proprio modo di gestire le sensazioni e le emozioni.

La posizione dell’arco è complementare alla posizione del bend-over. Questo esercizio è utilizzato in bioenergetica anche a livello diagnostico: dalla posizione assunta dal corpo in questa posizione il terapeuta è già in grado di comprendere molti aspetti legati alla struttura caratteriale. E’ importante, nell’esecuzione,  continuare a percepire piedi e gambe, mantenere la pancia morbida e respirare anche nell’addome. In questa posizione, così come nella precedente, è possibile percepire le vibrazioni involontarie delle gambe e del bacino, indice di una buona fluidità energetica nel corpo. In generale possiamo dire che questa posizione è benefica sia per il grounding e le gambe, che per la flessibilizzazione della schiena e il miglioramento della funzione respiratoria.

Abbiamo detto che chi soffre di DAP sta combattendo una dura lotta contro le emozioni, che tendono a relegarsi in qualche parte buia e inaccessibile della personalità. Più cresce la sfiducia, più queste emozioni diventano pericolose. Se le emozioni non sono riconosciute, o vengono negate, aumenta la loro carica energetica, il loro valore, e sono soggette al rischio d’esplodere. È l’esplosione l’evento che maggiormente spaventa coloro che soffrono di DAP. Dentro loro stessi vivono già l’esito di una “deflagrazione arcaica fantasticata”, e per questo sono costantemente impegnati a tenersi insieme, fino ad esaurirsi e implodere. Alla fine, piuttosto che esplodere, si sceglie la destrutturazione che almeno salva le relazioni e non compromette la dipendenza.
Ecco perché nella terapia psico-corporea è importante che la persona venga in contatto con le proprie paure inconscie, che si traducono in tensioni muscolari profonde e spesso inconsapevoli. La paura più comune e universale è la paura di cadere, che denota una difficoltà a reggersi sulle proprie gambe, cioè a sentirsi un adulto responsabile. La paura di cadere è associata strettamente alla paura di perdere il controllo, di impazzire e perdere se stessi, e abbiamo visto come tale tematica sia importante nei DAP. Il paziente, lavorando su grounding e respirazione, cominica a contattare questi nuclei di paura inconscia anche grazie ad alcune esperienze psico-corporee, opportunamente discusse con il terapeuta e integrate a livello emotivo e caratteriale grazie al colloquio.

La paura di cadere è una tematica fondamentale anche nei disturbi di panico. In questo esercizio di caduta, la persona, partendo dal bend-over, sposta tutto il peso su una gamba, flettendo il ginocchio fino ad una ventina di centimetri dal suolo. In questa posizione di stress per la gamba, si cerca di resistere, ma è impossibile rimanere per troppo tempo. Dopo un po’ occorre cadere, e ciò aiuta a sentire cosa rappresenta per noi la perdita del controllo. Inoltre la persona ha la possibilità di sentire che la caduta, che prima era considerata terrificante, può anche essere piacevole, costituendo una resa al corpo, indispensabile per provare piacere.

Questo esercizio rappresenta una variante del precedente. A differenza del primo, la gamba sulla quale si poggia il peso viene raddrizzata, mentre le mani sono poggiate per terra. E’ utile utilizzare una coperta o un materasso per cadere in avanti quando lo sforzo diviene eccessivo. Anche in questo caso l’esercizio ci mette in contatto con la nostra specifica modalità di gestione dell’emozione della paura. Sforzarsi strenuamente per non cadere denota la difficoltà di lasciarsi andare, mentre cadere immediatamente può essere un indice della difficoltà a reggere l’eccitazione. L’esercizio in questione è utile per il rafforzamento degli arti inferiori, per il grounding e per acquisire fiducia in se stessi.

Per quanto riguarda gli occhi, la sensazione che si verifica negli attacchi di panico è che “Io” non sono più presente negli occhi che, in tal modo, non sono più capaci di soffermarsi sugli oggetti esterni e svolgere la funzione del vedere e del guardare. Gli occhi hanno importanti funzioni espressive, tanto da essere considerati “lo specchio dell’anima”. In effetti negli occhi e nella qualità dello sguardo si manifestano tutti i processi corporei ed emotivi.

La figura mostra le due vie seguite dal flusso di energia verso gli occhi. Una corre lungo la parte frontale del corpo, dal cuore attraverso la gola e il viso, fino agli occhi. Il sentimento associato a questo flusso è il desiderio di contatto, che dà vita ad uno sguardo dolce, supplichevole. La seconda corre lungo la schiena e sale, passando per la sommità del capo, fino alla fronte e agli occhi. Questo flusso dà allo sguardo una componente aggressiva. Nello sguardo normale le due componenti sono entrambe presenti e bilanciate, dato che per un buon contatto oculare sono necessarie entrambe.

Nell’emozione della paura gli occhi svolgono un ruolo molto importante da un punto di vista espressivo ed adattivo. Mentre nell’emozione passeggera il pattern mimico-facciale è di breve durata, quando un’emozione diviene inconscia diviene uno sfondo silenzioso non più consapevole alla coscienza, ma che comunque si traduce a livello corporeo in tensioni croniche che impediscono il libero fluire dell’energia e delle sensazioni.

La figura illustra il ritrarsi dell’energia dagli occhi, causato dalla paura. La componente aggressiva viene ritratta lungo il suo circuito, le sopracciglia si sollevano e gli occhi si spalancano. Quando viene ritirata la componente tenera, la mascella cade e la bocca si spalanca. Se la paura si cronicizza nel corpo, l’energia viene incatenata nell’anello di tensione attorno alla base del capo. Parte dello sforzo è costituita dalla necessità di irrigidire la mascella per superare la sensazione di spavento (“non mi lascerò spaventare!”)

Il “coperchio” di tensione alla base della testa esprime il bisogno di mantenere il controllo delle proprie emozioni e sentimenti. E’ l’equivalente somatico del comandamento psicologico “non perdere la testa”, cioè “non lasciarti mai sfuggire il controllo dei tuoi sentimenti” . Se mettiamo un coperchio alla nostra aggressività, si crea una pressione contro di esso, che può dare origine ad una cefalea. Il coperchio della testa è collegato al blocco del bacino, che impedisce il flusso delle sensazioni sessuali.
L’energia si ritrae e si comprime e possiamo parlare di un effetto “pentola a pressione”. L’attacco di panico può essere considerato l’esplosione della pentola a pressione, una rottura improvvisa del contenimento delle sensazioni e delle emozioni.

Se una persona chiude gli occhi probabilmente ha fiducia in chi la sostiene; ma restare con gli occhi aperti e morbidi, non allarmati, vuole dire che ha fiducia in sé stesso, nella propria capacità di relazionarsi e nella propria autonomia. Ha coraggio e guarda le cose in faccia. Questa è la funzione finale da perseguire, però solo dopo essere passati per l’acquisizione della capacità di abbandonarsi, regredire e dipendere senza timori. Ottenuto l’abbandono si cercano i modi, diversi per ognuno, per raggiungere una respirazione completa che coinvolga tutte le parti: addome, diaframma, petto, spalle, bacino e gambe. Quando la persona è giunta a sentire il respiro fluido, che “quasi come un’onda lo attraversa tutto”, si può proporre di aprire gli occhi conservando il modo di respirare acquisito e contattando la realtà circostante (appoggiare gli occhi sugli oggetti e/o sulle persone). Il passaggio successivo è l’aggiunta e l’integrazione della deambulazione.
Come abbiamo avuto modo di vedere in questa disamina delle tematiche psico-corporee legate ai DAP, durante il lavoro occorre tener conto dell’unità funzionale corpo-mente: Sappiamo che lavorando “semplicemente” sulla respirazione, è tutto il corpo ad essere profondamente coinvolto. Non solo, ma anche le emozioni possono essere contattate agevolmente a partire da un esercizio corporeo, così come è facile per la persona divenire consapevole di quelli che sono i blocchi muscolari strutturati nella corazza caratteriale. In altri termini mente e corpo costituiscono due facce della stessa medaglia e agire sull’uno in maniera consapevole significa anche agire sull’altro.

7.    Prevenire i DAP e promuovere la salute
Come abbiamo detto, la terapia psico-corporea è molto utile per la risoluzione dei Disturbi di Panico, ed essa non può essere sostituita da altri mezzi che possono sembrare più veloci (farmaci, prodotti erboristici, ecc.). In alcuni casi è lo psicologo a consigliare l’abbinamento con altri mezzi, ma occorre ricordare che anche gli esercizi che presentiamo hanno valore terapeutico solo se inseriti all’interno di una cornice idonea, che è quella del rapporto psicologo-cliente, in cui la relazione e la competenza del professionista costituiscono i fattori più importanti per la riuscita del percorso.
Ciò nonostante, è possibile inserire nella propria quotidianità degli spazi per il lavoro psico-corporeo, in maniera da prevenire l’insorgenza di molti disturbi (tra cui il DAP) e soprattutto promuovere la salute individuale, iniziando un affascinante percorso di auto-conoscenza che ci aiuta a vivere più pienamente la nostra vita.
Come psicologi ad approccio umanistico crediamo profondamente che ogni persona, se opportunamente indirizzata, possiede già le chiavi per il proprio benessere e per realizzare pienamente in proprio potenziale vitale. Il compito di accompagnare alla scoperta della propria individualità è delicato e richiede amore e professionalità.
Consigliamo di eseguire gli esercizi che presentiamo in maniera consapevole. Ciò vuol dire innanzitutto riuscire a prestare attenzione al proprio modo di respirare, sentire quali muscoli sono più tesi e quali più rilassati, e accettare il nostro corpo così com’è, rispettando i nostri limiti e ricordando che i tempi del corpo sono diversi dai tempi della mente. Mentre la nostra mente è una lepre, il corpo è una tartaruga: i cambiamenti sono necessariamente lenti, ma anche più duraturi e stabili.
Abbiate fiducia del corpo!
Esso non mente, perché non è in grado di mentire, e subito ci porta alla nostra verità più intima. A volte le scoperte che si fanno in questo percorso possono spaventarci e possiamo essere portati a lasciar perdere: accettiamo anche questo, in effetti è più semplice continuare a sonnecchiare rispetto alla scelta di aprire gli occhi e vedere la realtà. Se manteniamo questa attitudine rispettosa e amorevole nei nostri confronti, allora il corpo diventa un amico prezioso, in grado di aiutarci e orientare le nostre scelte. Cominceremo a sentirci più integrati, più vitali e allo stesso tempo più rilassati, e anche i pensieri smetteranno di assumere una sfumatura tirannica per divenire più puliti e liberi.
Nell’esecuzione degli esercizi possiamo abbandonare con il tempo la necessità di “fare” qualcosa, e spostare la nostra attenzione sul “sentire”. La velocità è nemica del sentire, quindi prendiamo tutto il tempo che ci occorre, ritagliamo uno spazio e un tempo in cui siamo tranquilli e indisturbati dall’esterno (cellulari, tv, ecc.).
L’ideale è una stanza ampia e con pochi oggetti, con pavimento in legno oppure un tappeto su cui poter stare scalzi. Musica rilassante, se vogliamo possiamo bruciare dell’incenso, ecc. E’ il nostro spazio ed è giusto considerarlo sacro.
Durante tutti gli esercizi espressivi occorre ricordare tre piccole regole:
1.    Le ginocchia sono sempre leggermente flesse e mai rigide ed estroflesse. Ciò serve per sentire il grounding, scaricare il peso a terra evitando di gravare sulla zona lombare
2.    La pancia è morbida, possiamo tenerla tranquillamente in fuori, in maniera da favorire la respirazione diaframmatica
3.    La bocca è leggermente aperta, in maniera da favorire la respirazione e lasciare che si allentino le tensioni dell’articolazione temporo-mandibolare.
Vogliamo ricordare un elemento semplicissimo, ma che spesso dimentichiamo: noi tendiamo per natura a fare le cose che ci piacciono e ci fanno stare bene, mentre naturalmente tendiamo a interrompere le attività che ci risultano sgradevoli e dannose. Quindi cerchiamo in tutti i modi di rendere l’esecuzione degli esercizi assolutamente piacevole. Se oggi il mio limite è qui, va benissimo, lo accetto, mi fermo e respiro.
Nell’esecuzione degli esercizi è importante rimanere in contatto con le sensazioni del corpo, ma anche con le emozioni che affiorano nel lavoro (paura, rabbia, gioia, tristezza, ecc). Infine occorre essere consapevoli dei propri pensieri legati alle emozioni. Può essere utile, ad esempio, compilare una sorta di diario dei propri vissuti legati agli esercizi, in modo da divenire consapevoli dei tre livelli: sensazioni del corpo, emozioni, cognizione.
Oltre ai diversi esercizi menzionati, possiamo dire che una volta acquisiti degli elementi trasversali di ascolto e consapevolezza, possiamo utilizzare la nostra creatività in maniera costruttiva, inventando nuovi esercizi e posizioni. L’importante, appunto, è riuscire a respirare e rilassarsi nello sforzo, ascoltando e rispettando i nostri limiti. Ad esempio, rispetto agli occhi si può pensare ad esercizi di concentrazione oculare. Per esempio guardare fisso in un punto vicino a noi, per alcuni secondi e poi minuti, per poi spostare lo sguardo più lontano. O ancora, poggiare i palmi delle mani sugli occhi in maniera da rilassarli respirando, ecc. Allo stesso modo, per il controllo delle gambe e piedi si può usare l’esercizio del camminare ponendo attenzione all’appoggio delle parti dei piedi (tallone, pianta, punta, parte esterna e interna). Mentre si svolgono queste attività non bisogna mai dimenticare l’attenzione al respiro e ricordare sempre che non si tratta di esercizi meccanici, ma espressivi, cioè prestare attenzione ai vissuti e alle emozioni.
La pratica costante degli esercizi, soprattutto se svolta in gruppo (classi di esercizi bioenergetici) o in consulenza individuale sotto la supervisione di uno psicologo corporeo, costituisce un affascinante percorso di crescita, consapevolezza, benessere e amore per noi stessi e per la vita.

dott. Roberto Ausilio
Psicologo a Viterbo, Psicoterapeuta a Viterbo
cell. 328 4645207

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