super bambinoChe cos’è l’aggressività?
Il termine aggressività deriva dal latino “ad gredior”, che vuol dire “andare verso”. Il termine indica dunque la possibilità di impiegare la propria energia per il raggiungimento degli obiettivi. Si riferisce dunque ai comportamenti (verbali e non verbali) che partono da un’attivazione fisiologica dell’organismo e sono finalizzati a raggiungere uno scopo.

L’aggressività è sempre negativa?
In realtà ci sono molti tipi di aggressività e non tutti sono negativi per la persona. In psicologia distinguiamo tra assertività (la capacità positiva di soddisfare i propri bisogni), furia distruttrice (tendenza a dissociarsi dalle sensazioni e lasciarsi travolgere dalla rabbia), rabbia somatizzata e reazioni di frustrazione (ad esempio quello “strano” mal di pancia o mal di testa che ha origini psicosomatiche). A livello biologico la rabbia è funzionale alla sopravvivenza ed ha la funzione di proteggere l’organismo e favorire la continuazione della specie. Si pensi ad un cane a cui togliamo di bocca l’osso che sta mangiando: la sua reazione di rabbia sarà necessaria e funzionale. Oppure pensiamo agli scontri tra i maschi del cervo nel periodo degli amori per avere diritto ad accoppiarsi.

E per l’uomo?
L’essere umano è molto più complesso e vive in società con regole, norme e valori. Gli antichi sapevano che l’energia aggressiva andava in qualche modo canalizzata. Inventarono a questo scopo i giochi e lo sport, come contesti protetti in cui ci si poteva confrontare senza “distruggere” l’altro. E’ risaputo che ad una maggiore repressione della rabbia si accompagna sempre il pericolo che essa venga fuori all’improvviso come furia distruttrice o come comportamento autolesionistico (bere, fumare, mangiare troppa cioccolata…) Quindi il vero problema non è la rabbia in sé, piuttosto “che cosa ci facciamo con questa energia?” Occorre infatti trovare modalità e contesti di espressione sana dell’aggressività.

Un mondo di rabbiosi dunque?
Continuare a demonizzare e condannare qualsiasi comportamento aggressivo priva di vitalità l’organismo: la persona infatti sarà costretta a bloccare il flusso delle sensazioni e limiterà i propri movimenti. Ciò si impara in tenera età e si struttura nel corpo come tensioni e blocchi psico-corporei. Occorre sottolineare che non basta “sfogare la rabbia”, ma comprendere le radici della propria frustrazione e cercare modalità idonee di espressione. Lo sport in questo caso può essere molto utile, perché combina in sé gli elementi del movimento, del gruppo, della ritualizzazione e delle regole.

Perché i bambini si arrabbiano?
Un comportamento aggressivo può avere molte funzioni e spesso il bambino attraverso la rabbia comunica qualcosa agli adulti che non saprebbe esprimere a parole. Il lattante piange quando i suoi bisogni primari non sono soddisfatti (fame, sonno, coccole, ecc.) e questo comportamento è aggressivo e utile: richiama a sé le attenzioni dell’adulto che accudisce. In questo caso rispondere al bisogno consolida la fiducia e l’autostima del piccolo. Non rispondere per paura di viziarlo, significherebbe creare gravi deficit che si mostreranno in futuro.

Cosa succede poi quando il bambino cresce?
Il processo di crescita comporta sempre una dose di frustrazione, proprio perché siamo tutti inseriti nella realtà. Il bimbo si confronta con tante situazioni frustranti ed è bene che i genitori siano in grado di “reggere” la sua frustrazione e fare una mediazione tra “dargliela vinta” (a limite “viziarlo e iper proteggerlo” ) oppure “usare il pungo di ferro” (frustrarlo oltre il necessario privandolo di affetto e contatto). La virtù è nel mezzo di questi due estremi. Il genitore deve capire l’età e la fase di sviluppo che il figlio attraversa e comportarsi con lui di conseguenza: non si può pretendere da un bambino di 2 anni la stessa capacità di gestione delle emozioni che chiediamo ad un ragazzo di 12. Ecco perché lo psicologo Bowlby parla della madre come una “base sicura” e dice che dovrebbe essere “sufficientemente buona”.

Che cosa sta comunicando il bambino?
Questa è una domanda molto utile in caso di comportamenti esageratamente aggressivi. Anzichè entrare nel braccio di ferro con il figlio, l’educatore può chiedersi il motivo di questo comportamento, imparando a sospendere l’azione e riflettere col bambino su cosa sta succedendo. In ciò è utilissimo che il genitore faccia il “rispecchiamento”, rimandando al bambino il fatto che comprende le sue emozioni, le riconosce e le rispetta (ad es. “vedo che sei molto arrabbiato in questo momento…”). Riconoscere le emozioni dà al bambino la possibilità di capire se stesso, instaurare un dialogo con l’educatore e canalizzare la rabbia in senso positivo. Dovremmo fare contatto con le nostre emozioni e chiederci sempre come educatori: “la sua rabbia per me cosa significa? Cosa mi suscita? Cosa sento quando lui si arrabbia?”

Quando la rabbia è patologica?
In tutte le situazioni in cui si presenta dis-ancorata dal contesto (non c’è un vero motivo nel presente), in cui si presenta in maniera esagerata, distruttiva e reiterata nel tempo. La rabbia è patologica anche quando il bambino è troppo “buono” e remissivo, accetta passivamente tutto e non è in grado di protestare e far valere le proprie ragioni (candidato ideale per disturbi psicosomatici). In questi casi occorre non nascondersi dietro il dito ma farsi aiutare dallo psicologo, il professionista delle relazioni umane.

dott. Roberto Ausilio

Psicologo della Salute
Psicoterapeuta Corporeo

Tel. 328 4645207

Orvieto – Terni – Viterbo
www.robertoausilio.it

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